mercoledì 6 settembre 2017

Il sesso inutile, di Oriana Fallaci



Oriana Fallaci è un'autrice che mi ha sempre incuriosito molto, ho sempre guardato con interesse ai suoi romanzi e, ironia del caso, il primo suo libro che mi sono trovata a leggere è stato un saggio. Sto parlando di Il sesso inutile, secondo libro dell'autrice e il primo pubblicato per Rizzoli – che diventerà l'editore principale delle sue opere – un testo con cui la Fallaci ci accompagna in un giro per il mondo incentrato attorno alla figura della donna. Come chi mi legge avrà già avuto modo di notare, quello della condizione femminile è un tema che mi sta molto a cuore e in questo libro ho trovato letteralmente pane per i miei denti: storie affascinanti e terribili, intriganti curiosità, considerazioni dell'autrice e numerosi spunti di riflessione. Capire come vivono le donne nel mondo, avvicinarsi a loro e cercare un dialogo, cogliere la differenza tra imposizione e desiderio nelle loro azioni, può svelarci molto della società in cui sono cresciute ma anche invitarci a riconsiderare la nostra idea di normalità e vedere le cose da prospettive che prima non avevamo nemmeno considerato.

Per quanto mi è possibile, evito sempre di scrivere sulle donne o sui problemi che riguardano le donne. Non so perché, la cosa mi mette a disagio, mi appare ridicola. Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico.


Il viaggio dell'autrice ha inizio quasi con queste parole, delle quali si serve per spiegare l'iniziale riluttanza nell'accettare la sfida propostale dal direttore del suo giornale di compiere un viaggio attorno al mondo, e in particolare in Asia, con lo scopo di indagare sul mondo femminile. Decisa fino all'ultimo a rifiutare, Oriana cambierà idea solo in seguito all'incontro con una sua amica che definisce "indipendente, bellina, con una casa dove può far quel che vuole, un mestiere dove riesce meglio degli uomini", ai suoi occhi il ritratto perfetto della donna felice e realizzata, ma questa immagine le si sfalderà davanti agli occhi vedendo la sua amica scoppiare in lacrime e dichiararsi infelice. Non sono queste cose a potermi rendere felice, il nostro è un sesso inutile, sono queste le parole rivoltele dell'amica e che la indurranno a rivalutare su due piedi la sua rinuncia al progetto:

Il discorso mi turbò un poco. E come un tale che non si ricorda di avere le orecchie perché ogni mattina se le ritrova al suo posto, e solo quando gli viene l'otite si accorge che esistono, mi venne in mente che i problemi fondamentali degli uomini nascono da questioni economiche, razziali, sociali, ma i problemi fondamentali delle donne nascono anche e soprattutto da questo: il fatto d'essere donne.

Da qui ha inizio di fatto il viaggio della Fallaci che, accompagnata dal fotografo Duilio Pallottelli, la porterà a visitare diversi paesi dell'Asia con il preciso intento di analizzare le differenti possibili situazioni in cui possono venire a trovarsi le donne nel mondo e di rispondere a una singola, ambiziosa domanda: possono le donne essere felici?
Questo lungo e intenso viaggio, ricco di interessanti scoperte, racconti dal sapore spesso dolceamaro e qualche spiacevole imprevisto, vedrà Oriana partire da Roma per attraversare sei diverse nazioni orientali e concludersi, infine, a New York: in Pakistan si imbatterà in una sposa bambina e ne seguirà il corteo nuziale; in India incontrerà la Rajkumari Amrit Kaur – la donna più potente del paese, le farfalle di ferro e la maharani di Jaipur, molte di loro convinte di un'utopica emancipazione delle donne indiane che presto però si rivelerà essere soltanto un'illusione; in Malesia farà visita a una tribù di matriarche; in Cina ascolterà un raggelante racconto sulla pratica della fasciatura dei piedi e conoscerà quelle che definirà le donne più forti del mondo – forti sì, ma destinate a un'infelicità senza fine; in Giappone farà la conoscenza della principessa imperiale Suga e di Mikimoto Sumiko, moglie del figlio del famoso coltivatore di perle, per poi ritrovarsi a trascorrere una serata in compagnia di alcune geisha e scontrarsi con una tanto decantata libertà che nasconde in realtà una pedissequa ossequiosità intrinseca; alle Hawaii si imbatterà nel decadimento dei valori tradizionali cari alla popolazione autoctona e quella che si potrà decretare come la scomparsa delle vere donne hawaiane; e infine, giunta al capolinea, negli Stati Uniti, si troverà a fare i conti con donne moderne ed emancipate sì, ma tristi e disperatamente sole. Attraverso questo lungo viaggio in compagnia dell'autrice si entra in contatto con diverse realtà che quasi nulla hanno in comune l'una con l'altra: realtà in cui le donne rimpiangono il loro passato, realtà in cui decantano un'indipendenza mai realmente ottenuta, realtà in cui si dichiarano fermamente convinte di non voler rinunciare alla loro apparente sofferenza. Sono molte le storie che si presentano ai nostri occhi, alcune curiose, altre che addirittura ci fanno sorridere, eppure ognuna sembra nascondere un retrogusto amaro e ci si trova alla fine a provare tristezza, malinconia, pietà, rancore, indignazione. Perché una storia felice, una storia di un vero successo, non la si incontra mai. Ed è così che la Fallaci giunge alla sua conclusione che, alla fine, le donne nel mondo sono tutte uguali, perché uguali sono gli esseri umani, e in quanto tali tutte ugualmente condannate a una generale infelicità.

La domanda che avrei voluto porre a Oriana Fallaci alla fine di questa lettura è: tu sei felice? E cosa intendeva lei per felicità. Non vuole essere una provocazione. Da una parte, si tratta di pura e ingenua curiosità nei confronti del sentimento di una donna fuori dagli schemi che per tutta la vita ha vissuto libera inseguendo il suo istinto e la sua passione e che, proprio per questo, ho sempre considerato una persona realizzata e tutto sommato soddisfatta. Dall'altra parte, è solo desiderio di capire.
Ho definito ambiziosa la domanda che si pone all'inizio del suo viaggio – se le donne possono essere felici – perché penso che la felicità sia qualcosa di variabile, di inconsistente, di mutabile, quasi impossibile da definire se non quando realmente la si prova, in uno spazio circoscritto all'interno di una particolare circostanza in un momento limitato del proprio tempo. Essere infelici significa sapere cos'è per noi la felicità e quindi soffrire perché non la si può avere? Possiamo realmente dire di sapere cosa può fare la nostra felicità finché non lo viviamo realmente? Io credo di no. Possiamo supporre cosa potrebbe darci gioia, ma non sapremo mai come sarà finché non lo proveremo: io posso dire che per me la felicità è fare il giro del mondo, e potrebbe anche esserlo, ma finché non salirò su un aereo e non inizierò il mio viaggio non saprò davvero cosa proverò. E di che tipo di felicità stiamo parlando? Felicità in quanto donna o felicità in quanto essere umano? La mancanza di felicità implica automaticamente l'infelicità? Non è possibile che nel mezzo esistano mille altri sentimenti: serenità, gratitudine, soddisfazione, malinconia, rabbia, rimorso, e via dicendo? E poi, felicità per chi? Possiamo davvero arrogarci il diritto di dire se una persona è o non è felice? Permetterci di definire cosa può essere per lei la felicità quando probabilmente non sappiamo nemmeno cos'è per noi?
Se c'è una cosa che ho imparato viaggiando e vivendo all'estero, e che senza dubbio emerge anche da questo testo, è che esistono molti modi di vivere e vedere le cose e che la felicità, così come qualsiasi altro sentimento, è assolutamente soggettiva. Avendo vissuto in Giappone, mi capita spesso di vedere italiani parlare dei giapponesi e del fatto che ancora oggi tra loro molti matrimoni non avvengano per amore ma per interesse personale, o della famiglia o in virtù di un'ipotetica stabilità finanziaria e dire che per questo sono persone tristi. Nemmeno io credo vorrei mai sposarmi senza amore, semplicemente perché non reputo il matrimonio necessario alla mia sopravvivenza nel mondo, ma posso davvero permettermi di definire infelici queste persone? Chi sono io per sapere cosa provano e perché compiono le loro scelte? E se loro invece fossero felici proprio così? Trovo assolutamente ingiusto e presuntuoso il pretendere di conoscere i sentimenti altrui senza considerare che al mondo esistono milioni di persone, ognuna con la sua cultura, ognuna con la propria mentalità, ognuna con il proprio personale punto di vista.

Sempre a proposito del matrimonio, una giovane donna al colloquio con l'autrice, in Pakistan, giustifica in questo modo la sua preferenza per i matrimoni combinati alla libertà di scegliere da sola il proprio consorte:

"Anzitutto scegliere il proprio marito pone una donna in una situazione umiliante. Per trovare marito una donna deve farsi più bella, rendersi più interessante, sedurlo a forza di occhiate e di chiacchiere. Ciò non è dignitoso, né onesto."

Potremmo non essere d'accordo, alcune di noi potrebbero inorridire a queste parole, ma è pur sempre l'opinione sincera di una persona, seppure influenza dalla cultura e dalla società in cui è cresciuta (ma chi non lo è?), e in quanto tale merita di essere accettata e rispettata. Questo, al di là di ogni altra cosa, è ciò che emerge da questo libro: non esiste una verità universale, non esistono un giusto e uno sbagliato precostituiti – anche se qualcuno vorrebbe farci credere il contrario – e tantomeno siamo noi, in quanto portatori della nostra morale e della nostra cultura, a doverlo definire. Al mondo esistono tante prospettive quante sono le persone che respirano e ognuna – o quasi – è giusta a modo suo, e non siamo noi a dover definire cosa sia normale e cosa no, perché ognuno vive la sua normalità e non è detto che per qualcun altro non siamo noi quelli che stanno sbagliando. Chi siamo noi per definire chi è felice e chi non lo è? Chi siamo noi per stabilire ciò che è normale e ciò che non lo è? Tutto è giusto e normale, a volte anche felice, se agli occhi di chi lo fa appare come tale; tutto, purché rientri nel rispetto assoluto e incondizionato dei diritti umani. Siamo tanti, siamo diversi, è questo il bello, e anziché giudicare gli altri dall'alto di un piedistallo di gomma piuma che ci siamo costruiti con le nostre mani, sarebbe più bello iniziare ad accettarlo, come avremmo già dovuto imparare a fare da molto tempo. Il libro di Oriana Fallaci ci porta in giro attraverso l'Asia, ci parla di storie inammissibili e di pratiche sconcertanti, ci racconta cose per cui dispiacerci e a volte indignarci, ma ci mostra anche un mondo fatto di culture, di idee e di diversità, e mi auguro sinceramente che chi lo leggerà sappia distinguere in ogni momento ciò che è sbagliato da ciò che è semplicemente diverso.

7 commenti:

  1. Non ho mai letto nulla della Fallaci ma da tempo lo vorrei. Questo - insieme a Lettera a un bambino mai nato - era il titolo che più mi attirava e la tua recensione conferma questo mio interesse. Mi intriga poi la domanda di fondo, se alle donne sia concesso essere felici. Credo che la domanda dovrebbe inglobare un po' tutti, uomini compresi, e trovo sbagliato separarci ideologicamente in questa maniera. Ma questo è solo un input e sono sicura che il libro abbia ben più strati di lettura che quello che io, più superficialmente, ho colto:)

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    1. Anch'io trovo sbagliato porre una così netta separazione (motivo, tra l'altro, per cui ho deciso di dare una svolta al mio blog) e infatti lei stessa non era convinta di volersi occupare di questo lavoro. Alla fine però si è rivelato essere un ottimo racconto di viaggio, pieno sicuramente di cose per cui indignarsi, ma anche di spunti di riflessione. A me, personalmente, è piaciuto molto e te lo consiglio senza ombra di dubbio :)

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  2. Hai ragione Mami, chi può dire cosa é la felicità e chi lo é o meno? Ognuna/o di noi ha la sua cultura da cui è stata/o influenzata/o e i riferimenti sono soggettivi e riguardano uomini e donne indifferentemente perché i condizionamenti sociali riguardano tutte e tutti però possiamo dire a ragion veduta che le donne hanno qualche motivo in più per non essere soddisfatte, non dico felici che è uno stato più complesso, ma soddisfatte ad esempio di lavorare essendo pagate come i colleghi e non di meno; insomma la condizione delle donne é un po' più complicata e dall'analisi che ne fece Fallaci ad oggi le condizioni femminili sono rimaste le stesse. Penso ai matrimoni delle bambine in India o alla Principessa del Giappone che soffre di depressione costretta a vivere nel suo Palazzo dorato...insomma un testo ancora, purtroppo, molto attuale e pieno di spunti.

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    1. Lungi da me dire che la condizione delle donne non sia complicata e che ci siano molte cose che le riguardano, soprattutto a livello culturale, assolutamente da rivedere, tra l'altro è vero che da quando scrisse questo testo a oggi non è cambiato poi molto e trovo che questa sia in assoluto la cosa più sconvolgente. A maggior ragione penso però che sia importante porre un confine tra "ciò che è sbagliato" e ciò che è semplicemente "diverso" e che a volte incappiamo nell'errore di considerare infelice o sbagliato solo perché diverso da ciò che è per noi la normalità.

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    2. Giustissimo brava ho apprezzato molto questa tua disamina 😊

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  3. Oriana Fallaci è un'autrice incredibile, spesso citata solo per la sua conformazione politica, ha in realtà moltissimo da insegnare e da regalare al mondo dei lettori, perché la sua era una mente illuminata, apertissima e formativa

    credo nelle scuole dovrebbe essere studiata e presa ad esempio, per la sua amplissima bravura

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    1. Questo è, a oggi, l'unico libro che abbia mai letto della Fallaci per cui non mi sento in diritto di esprimere giudizi sull'autrice né in positivo né in negativo. Il testo mi è piaciuto, ed è tutto quello che al momento sento di poter dire su di lei. Per il resto, sono perfettamente d'accordo che oggi molti facciano il suo nome solo a titolo politico senza avere nessuna conoscenza concreta di chi fosse e quale fosse il suo pensiero e proprio per questo forse meriterebbe di essere maggiormente approfondita.

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